Paolino Vitolo, consulente informatico, webmaster, ITC 	consultant, giornalista, scrittore.Fuori dal tunnel
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(Hermes di dicembre 2011)

La storia è recente, ma la memoria è corta: quindi può essere utile un breve promemoria. Il 12 novembre 2011 Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio eletto a grande maggioranza dal popolo italiano nel 2008, constatando di non avere più la maggioranza assoluta alla Camera dei Deputati, pur conservandola al Senato, decide volontariamente di dimettersi. Giova ricordare, anche se di importanza assolutamente trascurabile, il comportamento sguaiato e inqualificabile di un branco “spontaneamente” radunatosi davanti al Quirinale per cercare di offendere il premier, che pure stava dando un grande prova di responsabilità nel rimettere il mandato nelle mani del presidente della Repubblica. Dispiace solo che quella gentaglia, invece di limitarsi a brandire i soliti stracci rossi, con o senza falce e martello, e qualche bottiglia di spumante, osasse anche sventolare qualche bandiera italiana.
Ma non divaghiamo e torniamo ai fatti.  In quella sera di appena un mese fa si concludeva felicemente (per chi l’aveva orchestrata) una manovra di logoramento del Governo democraticamente eletto, che era iniziata già da almeno due anni. La prima data notevole di questa manovra è forse il 15 aprile 2010, giorno in cui Gianfranco Fini, presidente della Camera e cofondatore del PDL, decideva di  rompere con il partito che pure gli aveva fruttato il terzo scranno della Repubblica,  senza neanche avere l’elementare buon gusto di dimettersi da questa carica. Ci piace ricordare le parole di Marco Damilano dell’Espresso del 17 aprile 2010, che suonano così: “Gianfranco Fini è un passo dallo strappo finale: l'uscita dal Pdl e la costituzione di gruppi parlamentari autonomi alla Camera e al Senato. Servono almeno venti deputati e dieci senatori. I deputati ribelli lasciano Montecitorio dopo la riunione con il presidente della Camera e annunciano battaglia. «Berlusconi pretende di fare la Terza Repubblica mentre canta una canzone francese con il figlio di Bossi, la Trota. Noi con questa gente non ci stiamo!», sbotta Italo Bocchino, e pazienza se ci sono stati per sedici anni. «Quanti siamo? Molti di più di quanto immaginate», minaccia. Sono le ore della conta. Viespoli c'è, anzi, no. Barbareschi ci sta. Il ministro Meloni non si sa. Ronchi tentenna. Granata, invece, è un uomo felice. «Il Pdl non esiste», grida a tarda sera un altro deputato finiano, il siciliano Carmelo Briguglio. Una liberazione. Il 25 aprile di Fini, con dieci giorni di anticipo”.  Di questo stralcio di articolo ci piace soprattutto il riferimento al 25 aprile, giorno in cui da più di sessant’anni oscenamente festeggiamo la sconfitta, il tradimento e la vergogna, chiamandole tutte e tre “liberazione”. E si capisce che gli oppositori del Cavaliere pensano anch’essi ad una nuova liberazione e per raggiungere la meta agognata non si fermano di fronte a nulla. Invece di fare politica, si comincia a parlare ossessivamente di veline e di escort, di papi e noemi, di olgettine e bunga bunga. I primi risultati non tardano ad arrivare: il 13 dicembre dello stesso anno un bel modellino in pietra del duomo di Milano viene buttato in faccia a Berlusconi (che ci rimette solo due denti) da un certo Tartaglia, quarantaduenne incensurato, definito di “tanto coraggio” dai suoi fan (oltre 50.000) di Facebook, ma giustificato (e assolto) come squilibrato dalla stampa politicamente corretta. Seguono quasi due anni in cui l’opposizione si limita a farfugliare di dimissioni del Cavaliere, mentre la maggioranza continua faticosamente la sua azione di governo, ottenendo pure qualche buon risultato, ma non riuscendo, onestamente, a fare tutte le riforme promesse agli italiani. Ma, si sa, in un sistema democratico il ruolo dell’opposizione è addirittura più importante di quello della maggioranza. Se l’opposizione fa solo ostruzionismo, la maggioranza lavora male, per non parlare della pratica impossibilità di varare quelle riforme più ostiche e impopolari, che invece oggi ci vengono imposte dal nuovo governo del professor Mario Monti .
Ma non precorriamo i tempi. La manovra anti-Berlusconi continua indefessa. Uno stuolo di opinionisti, di conduttori di talk show, di pagliacci e barzellettieri non esitano a coprirci di sterco, anche all’estero, pur di screditare l’odiato nemico. Che importa se l’immagine del nostro Paese ne esce distrutta? L’importante è arrivare alla “liberazione”. E finalmente ci siamo arrivati. Contenti? Mi dispiace solo per qualche uomo politico, come il segretario del PD Bersani, che, avendo come unico programma le dimissioni di Berlusconi, è rimasto di colpo senza programmi e senza idee, e per gli innumerevoli pagliacci e barzellettieri, che mostrano oggi gravi segni di smarrimento, perché non sanno più come farci ridere. A proposito di pagliacci, tanto di cappello a Roberto Benigni, che ha dimostrato una volta di più la sua superiore qualità, riuscendo a far ridere il Parlamento europeo persino il giorno dopo le dimissioni del premier. Lo proponiamo per il premio Nobel: se l’ha avuto Dario Fo, perché negarlo a Benigni, che come pagliaccio non ha niente da invidiargli?
Ma anche personaggi di ben altro calibro non esitano a scendere in campo, se pur discretamente o, meglio, ieraticamente, come è d’uopo in questi casi. Dall’alto del suo colle il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano incomincia a parlare e si degna di farlo un giorno sì e l’altro pure. E dà ai comuni mortali lezioni di bon ton, di politica e Costituzione. Sì, Costituzione della Repubblica Italiana, che, anche se vecchia acciaccata e bisognosa di cure, è purtroppo l’unica che abbiamo. Peccato che il Presidente, proprio mentre ci insegna la Costituzione, stia lavorando a qualcosa che forse tanto costituzionale non è. In tempi non sospetti, siamo a metà settembre 2011, Napolitano riceve Monti in tutta segretezza. Peccato che la cosa non sia sfuggita a quei monellacci di “Striscia la notizia”, che si tengono la notizia nel cassetto, per poi spiattellarla dopo che Monti è stato eletto senatore a vita e presidente del Consiglio, nonché santificato.

Ed è così che siamo arrivati al “governo del Presidente”, come è stato chiamato l’esecutivo Monti da organi di informazione ben più autorevoli di noi, che in questo modo sanciscono implicitamente l’incostituzionalità dei comportamenti che hanno portato alla situazione attuale. Un governo del Presidente della Repubblica non è infatti previsto dalla Costituzione. Potrebbe piacere al massimo a noi cattivacci di destra, che abbiamo sempre sognato una repubblica presidenziale. Peccato solo che noi pensassimo a un Presidente eletto dal popolo e non da oscure cabale di palazzo. Comunque, cosa fatta capo ha, e il professore Mario Monti si è dovuto caricare sulle spalle la croce di dover salvare l’Italia dagli attacchi della speculazione e della finanza internazionale. E non stupisca quest’ultima affermazione, perché alla fine proprio di questo si tratta. Per quanto riguarda Monti, abbiamo stima di lui (ci mancherebbe!) e siamo anche ottimisti al punto di sperare che, oltre a salvarci dagli attacchi di cui sopra, riesca a fare anche un po’ di quelle riforme impopolari che nessun governo politico è sinora riuscito a portare a termine. Se possiamo permetterci di dare un giudizio, almeno sulle proposte che andranno ora all’approvazione del parlamento, riteniamo che qualcosa, anzi non poco, sia stato fatto, con la riforma delle pensioni che nessun politico avrebbe potuto realizzare, neanche sotto la spada di Damocle dei mercati e della finanza internazionale. Per quanto riguarda il resto, ci sembra purtroppo che siamo alle solite: pagano i più deboli, i lavoratori dipendenti che subiscono il sostituto di imposta, i pensionati, i piccoli proprietari di casa (comprata a fatica con sudati risparmi), i più poveri, insomma. I ricchi, come al solito, se ne sbattono. I grossi capitali sono già stati portati al sicuro in Svizzera, le grosse barche registrate alle isole Cayman non si ormeggeranno più nei nostri porti e chi può permettersi la macchina da 100.000 euro, si farà un baffo della supertassa. Ma tutti i poveracci dovranno sborsare di più per fare benzina (da gennaio; no, anzi subito… già fatto!?!?) e per fare la spesa (dopo l’estate, quando l’IVA salirà al 23%), anche se avranno meno soldi, perché le pensioni non avranno più i quattro pidocchi di rivalutazione annuale e nel frattempo dovranno pagare l’ICI o l’IMU o come diavolo si chiama, per il loro sudato appartamentino, magari vecchio e fatiscente, ma nel centro storico della città, e quindi con renditata catastale di lusso e rivalutata del 60%. Se volevano farci rimpiangere Berlusconi e le sue donnine, che quando le vedevi almeno ti si apriva il cuore, ci sono riusciti benissimo. Ora abbiamo invece persone serissime che fanno benissimo e con grande rigore morale il loro lavoro (l’ha detto il Presidente Napolitano). E che quando ci impongono sacrifici non riescono neanche a pronunciare la parola, come la professoressa Elsa Fornero che ha dovuto arrendersi alle lagrime e ha dovuto farsi aiutare dal suo preside che con grande sussiego e finezza ha interloquito: “Credo che stesse per dire sacrifici”. Non siamo così insensibili da non commuoverci per le lagrime (che crediamo sincere) di una signora, ma le consigliamo di consolarsi con la lettura della cifra dell’assegno corrispondente alle prebende che riceverà a fine mese ed ogni mese, cifra che noi comuni mortali possiamo solo immaginare, anche se ad essa contribuiremo con i nostri (vacillo anch’io nello scrivere la parola…) sacrifici.

Mario Monti  Elsa Fornero

E non dimentichiamo che la manovra doveva servire non solo per pagare i debiti, ma anche per ridurre le spese e per incentivare lo sviluppo e la crescita. Per quanto riguarda i debiti, anche se con l’iniquità di prammatica, credo che siano stati ripagati. Lo confermano le borse e l’ormai famoso spread, che sembra almeno momentaneamente placato. Per quanto riguarda la riduzione dei costi, invece non ci siamo proprio. Sì, sono stati ridotti i costi dell’INPS con la stretta pensionistica, i due enti INPDAP ed EMPALS sono stati soppressi e accorpati all’INPS, sono stati ridotti di numero i componenti dei consigli provinciali e poi… il prof. Monti ha fatto una bellissima figura, rinunciando in diretta al suo compenso di presidente del Consiglio (ma non hanno rinunciato gli altri componenti del governo né la signora così sensibile). Onestamente ci sembra un po’ pochino, anche considerando che la casta, quando ci chiede grossi sacrifici, dovrebbe almeno dare il buon esempio. Per quanto riguarda la crescita e lo sviluppo, a fronte dell’inevitabile effetto depressivo dell’aumento delle tasse che provoca un ridotto potere d’acquisto,  siamo di fronte a poche minuscole note positive: il salvataggio del fondo di garanzia per i prestiti alle imprese, già approvato dal governo Berlusconi, e la riduzione dell’imposta IRAP per le imprese che assumeranno giovani e donne. L’unica cosa che avrebbe potuto invogliare le imprese ad assumere, cioè l’abolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori (che impedisce di licenziare chicchessia alle aziende con più di 15 dipendenti), non è stata nemmeno sfiorata.   Tutti questi fattori, cioè la depressione indotta dal ridotto potere d’acquisto, l’impossibilità di liberarsi dei lavoratori anziani che non potranno più andare in pensione, la mancanza di prospettive di crescita, non faranno altro che ingigantire il problema già gravissimo della disoccupazione giovanile. Complimenti! Ci volevano questi fior di professori, bocconiani e banchieri per partorire questo bel risultato. Ci auguriamo e speriamo con tutto il cuore che il seguito del loro lavoro, nei giorni e nei mesi futuri, sia rivolto a correggere le storture e le iniquità che oggi obiettivamente sussistono.
E tutto questo è successo per accontentare l’Europa, dove il professor Monti è andato col cappello in mano a spiegare la sua manovra, prima ancora di farne il minimo accenno al Parlamento italiano, cioè a noi, che, fino a prova contraria, siamo sempre cittadini di uno stato sovrano. Ma siamo proprio sicuri che sia così? Siamo sicuri che i nostri padroni siano l’Europa o la Germania della Merkel o la Francia di Sarkozy?
No, non è così, perché l’Europa, la Merkel e Sarkozy sono servi dello stesso padrone che brutalmente ci ha portati alla situazione attuale e che – non dimentichiamolo – ha già portato la Grecia sull’orlo dell’abisso del fallimento. È lo stesso che definisce PIGS (maiali, in inglese), dalle iniziali dei loro nomi, gli stati europei meno ricchi, cioè il Portogallo, l’Irlanda, la Grecia e la Spagna, e che da un po’ di tempo ha deciso di rovinare grammaticalmente la parola PIGS, aggiungendo una seconda I dopo quella dell’Irlanda. Indovinate un po’ a quale Stato corrisponde la seconda I.
Sarebbe troppo facile definire questo mostro semplicemente come “poteri forti” o “finanza internazionale”, come spesso si fa, ma, per comprenderne appieno la natura, è necessario fare un piccolo esercizio storico. Siamo nel medio evo e qualcuno si rende conto che, per effettuare un pagamento in un luogo lontano, è molto più semplice inviare ad un corrispondente di fiducia un messaggio con un ordine di pagamento, piuttosto che il denaro in contanti. Il denaro può essere rubato (si sa che le strade nel medio evo sono tutt’altro che sicure), mentre se viene rubata le lettera non succede niente. Ma se la lettera arriva, il corrispondente di fiducia effettuerà il pagamento sul posto e diventerà nostro creditore. Il credito sarà azzerato alla prima occasione: o ci incontreremo in qualche modo o egli ci chiederà a sua volta lo stesso servizio e quindi potremo fare un conguaglio tra le due transazioni. È ovvio che la comodità offerta da questo servizio merita una ricompensa, che, per motivi di equità, sarà proporzionale al tempo durante il quale saremo stati debitori del nostro corrispondente di fiducia. Si scoprì insomma che il denaro aveva un valore aggiuntivo rispetto a quello intrinseco e che chi possedeva denaro poteva ricavarne altro non lavorando come i comuni mortali, ma offrendolo in queste transazioni o, volendo usare una parola facile facile, prestandolo. I banchieri fiorentini, che nel 1202 si unirono nella ­corporazione dell’Arte del Cambio, semplicemente esercitando questa arte, si arricchirono e contribuirono a fare di Firenze la splendida città d’arte che tutto il mondo ci invidia. E fecero tutto ciò senza zappare la terra, senza produrre manufatti, senza dipingere, scolpire, costruire palazzi, ma semplicemente facendo “girare il danaro”. Da questo a Wall Street e il suo “denaro che non dorme mai”, parafrasando il famoso film di Michael Douglas, sono passati ottocento anni, ma il concetto non è cambiato. Si può essere ricchi, anzi ricchissimi, e lo si può diventare sempre di più senza bisogno di lavorare, ma muovendo accortamente le leve della finanza, che sono precluse alla gente comune, alla quale resta il compito di lavorare per produrre, perché alla fine dei conti la ricchezza non nasce dal nulla, ma dal duro lavoro e, se c’è qualcuno che si arricchisce senza lavorare, ci dovranno essere altri, molti altri, che lavoreranno senza arricchirsi (di solito per tutta la vita).
Nato come un comodo servizio, il gioco della finanza non tardò a farsi molto duro. I banchieri divennero creditori di sovrani, che finanziavano le loro guerre con i prestiti da essi ricevuti, e così i banchieri stessi diventavano in qualche modo e in qualche misura padroni o almeno comproprietari della nazione debitrice. Certo il gioco non sempre funzionava, anche perché il contesto non invogliava certo alla correttezza ed alla lealtà. Tanto per fare un esempio, nel 1339 il re Edoardo III di Inghilterra si indebitò a tal punto con i banchieri fiorentini, che semplicemente si limitò a non onorare il debito, portando al fallimento nel 1346 i banchi dei Bardi e dei Peruzzi e tutti i loro correntisti. Altri sovrani si comportarono anche peggio. I cavalieri dell’ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, meglio conosciuti come Templari, nato forse nel 1099, dopo la prima crociata, con lo scopo  di difendere le conquiste cristiane, grazie alle ricchezze accumulate con le loro scorribande, si diedero ad attività non propriamente cavalleresche, ma decisamente finanziarie. Alla fine l’ordine prestò ingenti ricchezze al re di Francia Filippo IV il Bello, che, non volendo o non potendo restituirle, tramò col papa dell’epoca Clemente V per far accusare i Templari di sodomia, eresia ed idolatria. Per farla breve, l’ultimo gran Maestro dell’ordine Jacques de Molay ed altri rappresentanti furono arrestati, costretti a confessare il falso sotto tortura e condannati al rogo. Così nel 1307 finiva l’ordine dei Templari, poi  soppresso ufficialmente nel 1312.
Dopo queste disavventure i banchieri si fecero più accorti (e lo sono tuttora), semplicemente chiudendo i rubinetti del credito prima che il debitore potesse superare una pericolosa soglia di non ritorno. D’altra parte i sovrani impararono a difendersi dal potere della finanza con metodi più morbidi, semplicemente battendo essi stessi la propria moneta quando i rubinetti del credito venivano chiusi. Questo sistema di difesa, contrariamente a quanto si insegna ai bambini delle elementari, non produce automaticamente inflazione e basta. Se la moneta stampata viene usata per finanziare lavoro e opere, essa non tarda a trasformarsi in ricchezza. Senza contare l’effetto di arricchimento che una leggera inflazione, cioè la diminuzione del valore della moneta, provoca in un contesto globale internazionale per il semplice fatto che i prodotti del lavoro dei più poveri sono automaticamente più a buon mercato. È ovvio che questa autodifesa degli Stati non può piacere ai banchieri. Ricordiamo che la finanza internazionale si ingrassa alle spalle della nostra miseria e questo non va bene, anzi deve essere in ogni modo combattuto. La seconda guerra mondiale non è stata fatta per liberare due popoli dal fascismo e dal nazismo. Così come oggi si va a fare la guerra in Medio Oriente, dicendo che si vuole “esportare la democrazia”, ma puntando invece al petrolio, allora si fece la guerra alla Germania e all’Italia non certo per liberarle, ma per distruggere due Stati che si erano completamente affrancati dalla finanza internazionale. Potreste obiettare che questa è una spiegazione troppo semplicistica e francamente avreste ragione. Ma al di là dell’aggressività tedesca, del problema ebraico e di tutte le problematiche di allora, che sarebbe impossibile sviscerare, ci fu e c’è, come in tutte le guerre, un semplice, banale, prosaico conflitto economico.
Facendo un volo forse un po’ pindarico per rafforzare questa tesi, vorrei ricordare come non si esitò a far precipitare a Bascapé (PV) il 27 ottobre 1962, con una bomba nascosta nella fusoliera, l’aereo privato di Enrico Mattei, presidente dell’ENI, reo di aver affrancato l’Italia dalla dipendenza energetica dalle cosiddette sette sorelle. E come non si sia esitato a seminare il panico tra i profani in ben due referendum che hanno precluso all’Italia l’uso dell’energia nucleare, costringendola a pagare esose bollette energetiche alle solite entità (che almeno hanno smesso di mettere bombe sugli aerei). E vorrei aggiungere, a beneficio dei meno attenti dei miei lettori, che la persecuzione mediatica contro Berlusconi, con le storie delle noemi e delle ballerine, è cominciata esattamente dopo che egli aveva concluso degli importanti accordi sulla fornitura di energia e di gas con il presidente russo Putin. Sarà un caso o una semplice coincidenza? Chissà.
Dopo questa divagazione torniamo alla finanza internazionale. Abbiamo visto come uno Stato in grado di battere la propria moneta abbia un’arma in più per difendersi dalla speculazione. Si dice in questo caso che lo Stato ha una moneta sovrana. Bene, l’Italia e tutti gli altri Stati dell’eurozona, aderendo alla moneta unica euro, hanno rinunciato a questa sovranità. Tutti tranne la Gran Bretagna, che ha voluto conservare la sterlina (sempre furbi questi inglesi!) e che quindi oggi se ne sbatte delle valutazioni di Moody’s, di Standard & Poor’s  e di chicchessia. Qualcuno potrebbe obiettare che, se l’euro non è la moneta sovrana dei singoli stati membri, lo è dell’Europa intera. Sbagliato! L’Europa non esiste come entità politica unica: essa è solo un’accozzaglia di Stati indipendenti che si sono messi insieme per motivi puramente economici e che ci tengono a mantenere la propria sovranità. Specialmente i più forti tra questi (la Germania e la Francia) hanno di fatto bloccato il processo di integrazione europea. Alla fine della fiera, comunque, l’Europa, se non riuscirà a diventare un’entità politica unica, come gli Stati Uniti d’America per intenderci, sarà sempre soggetta alla speculazione della finanza internazionale, per il semplicissimo e banalissimo fatto che non è padrona della sua moneta. E per lo stesso banale motivo l’euro è una moneta tutt’altro che forte, ma debole, anzi debolissima. Se ne stanno accorgendo proprio in questi giorni proprio la Francia e la Germania, che fino all’altro ieri ridevano di noi e facevano “i galli sulla monnezza” (detto napoletano italianizzato).
A questo punto qualcuno potrà suggerire: usciamo dall’euro e torniamo ad essere padroni della nostra moneta e di noi stessi. È vero, forse un giorno potremmo riuscirci, ma dopo un percorso di lagrime e sangue che ci farebbe apparire la manovra di Monti come una barzelletta da bar. E sarebbe un tunnel di povertà  tanto lungo che i più vecchi di noi non potrebbero sperare di vederne l’uscita. Il tunnel di Monti è più breve e, con le correzioni prima suggerite, potrebbe portarci non dico alla ricchezza, ma almeno alla serenità. Perciò affrontiamolo con grinta e decisione, proponiamo le nostre soluzioni e lottiamo per esse, stringiamo i denti e andiamo a testa bassa. Usciamo dal tunnel al più presto.


Paolino Vitolo


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