Paolino Vitolo, consulente informatico, webmaster, ITC 	consultant, giornalista, scrittore.Tristezza e speranza
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(Hermes giugno 2014)

Circa un anno fa, nel numero di luglio 2013 di questo foglio, pubblicai un articolo intitolato “Evoluzione del turismo”. In esso, come i lettori più assidui ricorderanno, partii da molto lontano, addirittura dal Grand Tour dell’inizio del XIX secolo, per arrivare ai giorni nostri, passando ovviamente attraverso l’età d’oro, purtroppo finita, del Club Méditerranée. Conclusi il pezzo con la citazione di alcuni gravi problemi dei nostri giorni, non senza qualche raccomandazione su come risolverli, e questo mi attirò le critiche e i rimbrotti anche coloriti di qualcuno, evidentemente più preoccupato del mantenimento dello stato di abuso e di degrado odierno, che della salvaguardia dell’ambiente e delle bellezze elargiteci a piene mani dalla natura.Riprendo oggi l’argomento perché dopo un anno e con molta tristezza devo constatare che nulla è cambiato, E lo faccio ignorando audacemente gli avvertimenti un po’ mafiosi che mi hanno consigliato di non occuparmi di affari che non mi riguardano e su cui comunque non posso influire. Lo faccio perché amo questo posto evidentemente molto più di tanti che ci sono nati e che tuttavia non lo rispettano come merita.Il turismo “primordiale” di Palinuro funzionò bene grazie ad un automatismo: la natura stupenda selvaggia e incontaminata attirò un’utenza turistica evoluta ed attenta all’ambiente, di estrazione internazionale (il Club Med ne fu la consacrazione ufficiale) e Palinuro fu famoso in tutto il mondo. Ma una volta persa la verginità (mi si passi l’espressione), l’automatismo non poté più funzionare e non tanto i cittadini, da cui non si può pretendere troppa lungimiranza, ma soprattutto le amministrazioni dell’epoca non seppero intervenire e non seppero impostare una linea di sviluppo per un turismo moderno e sostenibile, comunque molto diverso da quello primigenio, che, proprio grazie all’automatismo ormai morto, non ebbe bisogno di alcuna impostazione. Invece di offrire servizi di qualità, invece di valorizzare le ricchezze non solo marine e balneari, ma anche storiche, archeologiche, gastronomiche e culturali, si preferì dare libero sfogo all’orgia urbanistica delle “seconde case”, spesso di qualità mediocre, nell’illusione di poter campare più o meno bene con i fitti estivi e con l’offerta di servizi limitati e a buon mercato, concentrati per di più nel breve arco dei due mesi di luglio e agosto. Purtroppo non si tenne conto del fatto che una località turistica che non offre servizi di qualità, ma concede le proprie bellezze a basso prezzo, è destinata a degradarsi e quelle stesse bellezze finiranno prima o poi per perdersi fino a non attirare più nessuno. Per fortuna Palinuro non è arrivato a questo e siamo ancora in grado di intervenire.Uno dei sistemi per allungare la stagione turistica in un posto dove l’estate dura almeno sei mesi è l’offerta turistica legata ad eventi, a manifestazioni, a congressi. Ricordiamo che la città di Perugia ogni anno riesce ad avere il tutto esaurito negli alberghi e nei ristoranti grazie alla Festa della Cioccolata. Bene, quest’anno qualcosa si è fatto anche da noi, con la prima edizione della Festa della Primula di Palinuro (di cui vi diamo conto in questo stesso numero), che nel secondo giorno di primavera, il 22 marzo, ha visto Palinuro popolarsi di studiosi ed anche di gente comune, attirati da un endemismo botanico caratteristico del nostro territorio. E posso assicurarvi, avendolo visto con i miei occhi, che c’è stato qualcuno fra i congressisti che ha fatto il bagno nel mare limpido e cristallino, ma in verità un po’ freddino, del nostro porto. Questo è un esempio da seguire (il convegno, non il bagno – forse) per allargare la stagione turistica.La citazione precedente mi dà l’occasione per parlare di quello che ritengo sia un punto dolente del nostro paese. Quando il porto non c’era ancora, c’era invece una bellissima spiaggia di sabbia dorata che si estendeva fino alle prime rocce a nord-est in direzione della Ficocella. Certo la vita per i pescatori non era comoda: al primo accenno di maestrale le barche dovevano essere tirate in secco a forza di braccia, facendole scorrere sulle falanghe opportunamente lubrificate col sego. Si costruì quindi il porto, ma lo si fece solo a metà, con una lunga banchina ad ovest e nessuna banchina ad est. Le correnti, che certo non ubbidiscono ai desideri dell’uomo, non potendo più entrare da ovest, invertirono il loro moto e semplicemente ma inesorabilmente spostarono la spiaggia verso l’interno del porto, insabbiandolo. Probabilmente la costruzione di una seconda banchina a est, situata magari a metà della spiaggia o poco dopo la chiesetta di Sant’Antonio, avrebbe bloccato l’insabbiamento del porto e la spoliazione della spiaggia lato Palinuro, ma l’unico intervento adottato in tempi piuttosto recenti è stato quel mozzicone di scogliera con prolungamento semisommerso in corrispondenza della suddetta chiesetta, che è servito solo a rimpolpare leggermente le spiaggia di fronte alla chiesa stessa. Di conseguenza il porto continua a insabbiarsi, anche perché da tempo si è rinunciato al dragaggio di primavera, e diventa sempre più piccolo. Basti dire che lo scivolo per le barche posto sotto la Capitaneria è diventato un parcheggio automobilistico privato. A tutto ciò occorre aggiungere che la mancanza del molo orientale provoca il problema più grave in assoluto: il maestrale, che è il vento dominante di Palinuro, scatena all’interno del porto una risacca che rende precario l’ormeggio in banchina ed impedisce l’installazione di pontili galleggianti. Se a questo aggiungiamo la completa assenza di servizi come un distributore di carburanti, un giornalaio, un supermercato, si capisce perché le barche più prestigiose preferiscano disertare il porto di Palinuro, preferendo i più comodi approdi di Marina di Camerota o di Maratea o addirittura di Marina di Pisciotta. Il motivo di tutto questo? A mio modesto parere, non essere stati capaci di decidere se privilegiare la spiaggia o il porto. Nel tentativo, fallito, di accontentare tutti, si è ottenuto un ibrido inefficiente e addirittura pericoloso. Il colmo è che oggi è consentita la balneazione praticamente in mezzo alle barche ancorate o, peggio, in movimento e che, per porre fine all’assurdo escamotage del famigerato articolo 68 del Codice della Navigazione, si sono date concessioni demaniali su una spiaggia piccola e precaria, che non sarebbe in grado di sopportarle, riducendo quasi a zero gli spazi liberi, peraltro obbligatori per legge.Non sarebbe stato meglio separare nettamente la spiaggia dal porto, magari prolungando la banchina davanti alla chiesetta di Sant’Antonio? In questo modo si sarebbe potuto dragare una volta per tutte lo spazio sotto la Capitaneria, banchinando opportunamente la spiaggia residua (sotto la Taverna del Porto, per intenderci), lasciando alla balneazione la spiaggia ad est verso Palinuro, che, non più influenzata dalla banchina di ovest, si sarebbe arricchita di sabbia anno per anno.Ho parlato di concessioni demaniali e vorrei precisare il mio pensiero in proposito. Fermo restando che esse sono utili e opportune, perché danno lavoro e danno la possibilità di offrire servizi ai bagnanti, ritengo però che il loro uso non debba trasformarsi in abuso: non è lecito distruggere la flora protetta, a pericolo di estinzione, della spiaggia delle Saline per costruire l’ennesimo lido. Di questo scempio diamo conto in questo stesso numero, con opportuna documentazione fotografica, precisando che non vogliamo colpevolizzare nessuno. Probabilmente la ruspa che ha spianato la spiaggia ha solo peccato di eccesso di zelo e di ignoranza, mentre le autorità che avrebbero dovuto vigilare hanno forse peccato di superficialità. Ma il risultato è che un altro pezzo della nostra stupenda incontaminata unica natura è stato irrimediabilmente distrutto.E questo mi dà occasione di ritornare su un vecchio argomento che mi sta a cuore: la protezione della fauna e della flora delle stupende grotte del capo Palinuro. L’anno scorso parlai dell’esigenza di far rispettare la legge, che vieta senza mezzi termini di entrare nelle grotte a barche con motore a combustione interna acceso. Questa regola viene tranquillamente disattesa e non importa a nessuno se le grotte stanno letteralmente morendo. Mi rendo conto, perché mi è stato detto a chiare lettere, che questo è un argomento di cui non dovrei impicciarmi. Ma io insisto e vorrei pregare l’amministrazione comunale e le autorità competenti di mettere in condizione gli operatori turistici di poter svolgere il loro onesto lavoro senza danneggiare la natura. Prima che questa si ribelli e riduca il nostro bellissimo mare come fu in passato ridotto quello di Napoli o di Scauri o di Licola. L’anno scorso parlai di una barca, una sola, che ha sulla poppa un motore elettrico che usa solo per entrare nelle grotte o per atterrare al Buondormire. Quest’anno devo notare tristemente che quella barca è sempre rimasta unica e sola. Per questo insisto e prego l’amministrazione comunale o le autorità competenti di dotare le barche degli operatori turistici di motori elettrici oppure, se ciò non è possibile, di installare nelle grotte più visitate un sistema di cavi che consentano di manovrare a motore spento, così come avviene da decenni nella grotta Azzurra di Capri. La natura ci ringrazierà e vi assicuro che ne varrà la pena.Quello che ho detto finora dimostra soltanto che sono un inguaribile ottimista. Lo dico con una certa tristezza, ma anche con molta speranza, Coraggio, se lavoriamo bene, ce la possiamo fare!

Difficile convivenza tra porto e lidi.


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