Paolino Vitolo, consulente informatico, webmaster, ITC 	consultant, giornalista, scrittore.Contro la violenza sulle donne. Il martirio di Norma Cossetto
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(HERMES on line - 6 dicembre 2018)


Norma Cossetto

Norma Cossetto: chi ricorda questo nome? Pochi, credo. Eppure, in questi giorni in cui giustamente si manifesta contro la violenza sulle donne, dovremmo ricordarla. Anche perché, per rinfrescare la nostra pigra memoria, molto opportunamente, dallo scorso 15 novembre è in programmazione nei cinema italiani un film che narra la storia e la tragica fine di questa ragazza.

Il titolo del film è “Red land – Rosso Istria”, dal colore tipico della terra istriana, dovuto alla presenza di giacimenti di bauxite. E “Istria rossa” era il titolo della tesi di laurea di Norma Cossetto, che stava per laurearsi in Lettere e Filosofia all’Università di Padova. Ma non arrivò alla laurea.

Norma era nata il 17 maggio 1920 a Santa Domenica di Visinada, vicino Pola, che allora era un’importante città italiana, e viveva lì anche all’epoca dei tragici fatti di cui fu vittima. La sua colpa, se si può usare questa parola, fu di essere la figlia del responsabile del Partito Nazionale Fascista del piccolo paese, ma soprattutto di essere italiana.

Così avrete capito perché, quando tutti si riempiono la bocca di discorsi e di recriminazioni sulla violenza di genere, non c’è nessuno che si sia ricordato di Norma Cossetto, che pure per la sua tragica fine venne insignita di Medaglia d' oro al merito civile alla memoria, con la seguente motivazione: «Giovane studentessa istriana, catturata e imprigionata dai partigiani slavi, veniva lungamente seviziata e violentata dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata in una foiba. Luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio. — Villa Surani (Istria) – 5 Ottobre 1943».

Evidentemente, dopo 75 anni (settantacinque!!!) ancora c’è qualcuno che ha paura di dire e soprattutto di conoscere la verità. E ci accorgiamo purtroppo che anche tra i morti, anzi tra i martiri innocenti, ci sono quelli di serie A e quelli di serie B. Al punto che il film sopra citato, presentato a Venezia il mese scorso, non è stato diretto da nessuno dei nostri gloriosi tromboni, ma da un giovane regista argentino, Maximiliano Hernando Bruno, alla sua opera prima, peraltro riuscitissima.

Ma torniamo alla nostra storia.
Dopo l’8 settembre 1943, data dell’armistizio che portò a quello sfacelo che alcuni definirono “morte della Patria”, i partigiani comunisti del famigerato maresciallo Tito cominciarono a risalire la Dalmazia, cercando di cancellare ogni traccia di italianità da quelle terre italiane da sempre, dai tempi della Repubblica Serenissima di Venezia. In verità quelle bande criminali non volevano cancellare solo l’italianità, ma anche e soprattutto gli italiani, Molti ignoranti in mala fede ancora oggi cercano di giustificare queste azioni come naturale reazione all’imposizione della lingua italiana da parte del regime fascista. Cosa falsa naturalmente, perché in Dalmazia si parlava l’italiano, anzi il dialetto veneziano, da alcuni secoli. Circostanza provata anche dal fatto che, sulle navi da guerra dell’Impero Austro-Ungarico dell’Adriatico, gli ordini venivano dati in veneto.

La pulizia etnica ai danni degli italiani continuò anche a guerra finita, anche dopo il 1945. Chi riuscì a scappare in Italia si trovò di fronte all’accoglienza fredda, se non ostile, dei cosiddetti confratelli, avvelenati dalla propaganda di certe parti politiche che additavano i profughi come “fascisti che non avevano voluto vivere nel paradiso rosso di Tito”. Bisogna capirlo: a quei tempi il PCI (Partito Comunista Italiano) non aveva ancora cambiato nome.

E che cosa capitò a quelli che non riuscirono a scappare? Furono uccisi, spesso torturati, e tutti furono gettati nelle foibe, alcuni ancora vivi e legati col fil di ferro. Le foibe sono delle cavità naturali molto diffuse nel Carso, il cui territorio è tutto traforato da queste profonde voragini. Territorio carsico, appunto. Molte di esse furono l’ultima dimora delle vittime italiane della pulizia etnica.

Ma torniamo alla storia di Norma Cossetto.
Nell'estate 1943 stava preparando la tesi di laurea intitolata “Istria rossa” e spesso girava in bicicletta per i paesi dell'Istria visitando municipi e canoniche alla ricerca di archivi che le consentissero di sviluppare i suoi studi.
Dopo l'8 settembre, secondo la testimonianza della sorella Licia, la famiglia cominciò a ricevere minacce. Il 25 settembre 1943, diciassette giorni dopo la capitolazione dell'Italia e il disfacimento dell'esercito, un gruppo di partigiani titini, appoggiati dai partigiani comunisti italiani, approfittando dello sbandamento generale, irruppe in casa Cossetto, razziando ogni cosa.
Il 26 settembre 1943 un partigiano di nome Giorgio si recò a casa dei Cossetto convocando Norma al comando partigiano nell'ex caserma dei Carabinieri di Visignano.   Il comando era composto da partigiani comunisti sia italiani sia slavi. Qui, dopo essere stata interrogata, le fu poi richiesto di entrare nel movimento partigiano; proposta che Norma rifiutò.  A quel punto ella fu rilasciata.
Il giorno successivo, 27 settembre, Norma fu arrestata dai partigiani insieme ad altri italiani, parenti e conoscenti. I prigionieri furono tutti confinati nella ex caserma della Guardia di Finanza di Parenzo. Qui fu raggiunta dalla sorella Lidia che tentò inutilmente di ottenerne il rilascio. Un paio di giorni dopo, i tedeschi occuparono Visinada, quindi i partigiani, sentendosi minacciati, trasferirono tutti i prigionieri nella scuola di Antignana trasformata in prigione.
Qui Norma fu separata dagli altri prigionieri e, fra il 1° e il 4 ottobre, legata nuda ad un tavolo, fu sottoposta a sevizie e stuprata dai suoi carcerieri. Secondo alcune testimonianze erano diciassette. L'episodio della violenza carnale fu in seguito riferito da una donna abitante davanti all'ex caserma, che, attirata da gemiti e lamenti, appena buio osò avvicinarsi alle imposte socchiuse e vide Norma legata al tavolo.
La notte tra il 4 e 5 ottobre Norma e gli altri ventisei prigionieri legati col fil di ferro, furono costretti a spostarsi a piedi fino a Villa Surani. Qui, ancora vivi, furono gettati nella foiba vicina. Ma prima, Norma e le altre donne furono nuovamente sottoposte a violenze.
Norma aveva solo 23 anni.


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