Paolino Vitolo, consulente informatico, webmaster, ITC 	consultant, giornalista, scrittore.Perché il G8 non ci fa paura
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Le assonanze ci sono e sono tutte suggestive; prima, la città è proprio la stessa: Genova; seconda, una bella rima facile facile in falso accrescitivo: Berlusconi e Tambroni; terza, il clima rovente di un’estate ormai piena: 30 giugno 1960 allora, 20 luglio 2001 oggi. Assonanze tali da far sognare i più romantici nostalgici, da far ancora intonare ammuffite canzonette del tipo “Bella, ciao!”, da far sperare in un bis del ribaltone di sette anni fa. Perché – non nascondiamocelo – la protesta anti-globalizzazione non sarebbe stata così vivace, se al governo della nazione ospite non si fosse da poco insediata la coalizione di Centro-Destra.
Ma – si tranquillizzino amici e nemici! – le assonanze finiscono qua. In questi quarantuno anni molte cose sono cambiate e il governo italiano in carica, democraticamente eletto, non solo non cadrà, ma non subirà nessuna difficoltà dai sussulti eversivi che un branco di facinorosi, per lo più inconsapevoli delle loro stesse motivazioni, stanno accuratamente organizzando.
Vediamo perché.
Nel 1960 la guerra, ufficialmente finita da appena quindici anni, era ancora in corso, più virulenta che mai. In verità si chiamava guerra fredda ed anche il nemico era cambiato, anzi, per essere precisi, la sconfitta delle forze nazi-fasciste aveva fatto emergere nitidamente la fisionomia dei due schieramenti che si contendevano il dominio mondiale: da una parte le Democrazie occidentali, dall’altra le Dittature sovietiche. L’Italia, cuscinetto geografico e politico in mezzo ai due contendenti, dilaniata da una drammatica guerra civile, umiliata da un trattato di pace (o, meglio, da un “dettato”) di severità e durezza adatta – come è giusto – ai traditori, si era salvata di misura dalla dittatura comunista e gravitava in veste di umile vassallo nell’orbita atlantica o americana, che dir si voglia. Ma proprio l’esiguità della differenza tra i due opposti schieramenti del Parlamento italiano, specchio fedele della contesa mondiale, faceva sì che la nostra nazione fosse sede della più potente quinta colonna dell’Unione Sovietica: il Partito Comunista e i suoi più o meno idioti alleati. Fu perciò facile ai comunisti scatenare la piazza di Genova, provocando la caduta del governo Tambroni, non certo di Destra, ma non sufficientemente sbilanciato a Sinistra per piacere a chi era in grado di manovrare tranquillamente l’eversione di piazza. E tutto questo con il tacito consenso degli USA, consapevoli del pericolo reale di un colpo di stato comunista in Italia e in procinto essi stessi di subire la deriva kennediana.
Oggi, 2001, le cose sono molto diverse: l’Unione Sovietica non esiste più, anche se il mondo, e – guarda caso – soprattutto l’Italia, continua a pullulare di nostalgici di un’ideologia morta e sepolta. Non c’è più nessun partito comunista in grado di fare colpi di stato (anche se ancora innumerevoli idioti lo desidererebbero tanto) e gli USA, forti di un’economia florida, hanno ampiamente metabolizzato i loro sussulti e le loro insicurezze. E noi, oggi come allora, continuiamo a subire l’influenza USA.
E infine, ma non meno importante: la gente, il popolo italiano ha acquisito una propria consapevolezza. Gli Italiani vogliono lavorare, vogliono vivere serenamente nella dignità e nella prosperità. Essi non capiscono (o forse capiscono troppo bene) le convulsioni dei demagoghi e dei politicanti, ansiosi di cavalcare qualche tigre di passaggio.
Stia tranquillo Berlusconi, non sarà il “popolo di Seattle” a giudicarlo, ma soltanto gli Italiani, che, avendolo liberamente eletto, si aspettano da lui e dal suo governo tutte le realizzazioni che ha promesso. E non abbiamo dubbi che ce la farà, perché i tempi sono finalmente maturi.


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