D10. Si scrive D dieci e si legge Dio.
Il più grande calciatore di tutti i tempi è ritornato dal Padre e Gli ha restituito il pallone che Egli gli aveva prestato.
Glielo aveva donato sessant’anni fa perché D10 potesse stupire il mondo con le sue magie. Come il secondo gol segnato contro l’Inghilterra nella finale della Coppa del Mondo del 22 giugno 1966, vinta dall’Argentina per 2 a 0. Secondo gol segnato di forza, prepotentemente, per dimostrare al mondo che il primo gol, quello segnato con la mano (la famosa mano de Diòs) era stato solo uno scherzo, uno schiaffo alla prepotenza inglese che aveva voluto togliere all’Argentina le sperdute e inutili isole Malvinas (Falkland per gli inglesi).
D10 venne a Napoli e divenne Napoletano, con la N maiuscola. Amò e fu riamato di un amore che neanche la morte riuscirà ad estinguere. Perché D10 non può morire: egli vivrà per sempre nel cuore dei Napoletani e degli sportivi di tutto il mondo.
Già, gli sportivi: quelli che amano lo Sport. Lo Sport con la lettera maiuscola, che si rifà agli ideali di Olimpia nell’antica Grecia, quando ogni quattro anni, come per incanto, si fermavano le guerre, i conflitti, le lotte per celebrare gli ideali della competizione leale, del sacrificio, del dono disinteressato di sé stessi. Non per soldi, non per tornaconto personale, ma solo per una corona di alloro.
Il calcio di oggi non ha niente a che fare con tutto questo. Ai tempi di D10, di Diego Armando Maradona, forse ancora qualcosa sopravviveva dello spirito di Olimpia. Oggi non più. Oggi vince non chi è più bravo, ma chi ha più soldi, chi sa influenzare l’ambiente, chi corrompe gli arbitri, chi offre più diritti televisivi.
Ma basta! Non voglio parlare di questo proprio nel giorno in cui D10 ci ha lasciati. Oggi dobbiamo pensare a lui, ad uno che lo sport l’ha onorato, generoso sul campo e anche nella vita, debole e imperfetto come uomo, ma unico, forte, irraggiungibile come calciatore e come sportivo.